BIBLIOGRAFIA
ALTRE OPERE
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IL MERIDIONALE DI VIGEVANO
Einaudi 1964, collana "I Coralli"
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Pubblicato in gennaio, fu il testo senz'altro più spinto dall'Einaudi, tra quelli mastronardiani, a cominciare dal risvolto di copertina alquanto altisonante, e sull' onda del successo e del "rumore" provocati da «Il Maestro di Vigevano». Tuttavia, non ebbe il successo atteso, attestandosi sulle 40-50.000 copie vendute.
Protagonista, un impiegato delle imposte (figura piccola ma rispettata o almeno temuta), meridionale, immigrato a Vigevano, che vive solo in una camera a pensione. E' un ritratto di Vigevano, di nuovo, ma con l'attenzione spostata alla larga fetta di popolazione salita dal sud negli anni del boom, e impegnata a lavorare ancor più follemente dei "nativi" per superarli in ricchezza. Ritratto secco e impietoso sia dei vigevanesi che degli immigrati, verso i quali Lucio Mastronardi - figlio lui stesso di immigrati abruzzesi - non esercita alcun pietismo, non si permette alcun piagnisteo. La lingua si fa più leggibile, con i soliti inserti dialettali e, in naggiunta, i modi di dire derivati dai dialetti del sud.
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Il protagonista del nuovo romanzo di Lucio Mastronardi è un povero e candido meridionale, impiegato delle imposte in una cittadina lombarda, e perciò fatto oggetto d'un' interessata simpatia da parte degli avidi industrialotti.
Dopo Il Calzolaio di Vigevano e Il Maestro di Vigevano, la presenza di Mastronardi si rivela in questo terzo pannello della serie con ancora più spicco e vitalità.
Possiamo dire che è nata una piccola «commedia umana» ed è stato proprio il bizzarro outsider Mastronardi a fare alla letteratura italiana questo raro regalo.
C'è riuscito attraverso una grottesca deformazione d'immagini e di linguaggi, ma questo è ancora soltanto l'aspetto formale dei suoi mezzi d'espressione: il segreto di Mastronardi è il saper maneggiare il ferro rovente a costo di bruciarsi le dita, il saper trasformare gag clownesca un urlo inorridito e disperato.
La «Vigevano» di Mastronardi (anche se si chiama come una città che esiste veramente) si situa nella geografia immaginaria e trasfigurata degli scrittori visionari: quella geografia in cui la Pietroburgo del Cappotto di Gogol sta alla Lilliput e la Brobdingnag di Swift: una brulicante città di castori calzolai, allegoria d'un mondo che crede solo nella produzione e nel guadagno.
In questo romanzo la ritroviamo in pieno «miracolo economico», e la sua febbre di lavoro e il suo inarrestabile egoismo hanno conquistato la nuova folla degli immigrati. Mastronardi è per l'anagrafe mezzo vigevanese e mezzo meridionale (suo padre veniva dall'Abruzzo), ma in realtà, a giudicare da questo libro, molto più vigevanese che meridionale: nell'impasto linguistico il suo italo-vigevanese stralunato e sussultante domina sugli accenni d'indeterminate e insicure cadenze centro-meridionali; e quanto a osservazione sociologica egli tende a presentarci degli immigrati che si «vigevanizzano» in men che non si dica.
Swiftianamente spietato è sempre stato lo sguardo di Mastronardi su quel campio di umanità che sono per lui i «vigevanesi»: «padroncini» od «operai», maestri o scolorasca, tutti bollono nello stesso infernale calderone. Dovrebbero far eccezione i «meridionali»? Sarebbe una grave contraddizione di stile. E' naturale dunque che anche i «meridionali» siano presentati con gli stessi neri colori degli indigeni e non si guardi tanto per il sottile neanche nel dar credito a luoghi comuni e abusati clichés.
Mastronardi trova qui il modo di straziarsi e vituperarsi sia come vigevanese che come meridionale, perchè la dura legge dello scrivere per lui è questa; solo al culmine di tanto strazio e vituperio si può raggiungere una verità umana semplice e commossa. La scena degli immigrati che alla domenica fanno lacoda al telefono pubblico per parlare coi familiari rimasti al paese, mentre il protagonista non riesce a pronunciare il nome del suo villaggio, è forse la cosa più bella che Mastronardi abbia mai scritto: piena di ritmo, comicità e d'una struggente, segreta soffrenza «meridionale». E il personaggio tutto lombardo di Olga la sarta, una donna in cui la forza e il calore umano superano la trivialità e l'interesse di cui sono intessuti tutti i suoi pensieri e le sue parole, è una figura tra le più corpose e vitali e vere della nostra letteratura recente.
In sopracoperta, particolare di un quadro di Andrea Mozzali