BIBLIOGRAFIA
ALTRE OPERE
Clicca per vedere le Altre Opere di Lucio Mastronardi.IL MAESTRO DI VIGEVANO
Einaudi 1962, collana "I Coralli"
IL MAESTRO DI VIGEVANO
Pubblicato in maggio, nella collana i Coralli dell'Einaudi. La vicenda, ambientata all'alba del boom economico che travolse l'Italia e Vigevano con essa, è quella del maestro elementare Mombelli, che cerca senza successo di resistere alle brame economiche della moglie che vorrebbe diventare calzolaia in proprio e poi, magari, piccla industriale.
Ritratto caustico, nero, grottesco della Vigevano degli industrialotti senza scrupoli e degli operai bramosi di carriera fu un successo editoriale (80.000 copie vendute) e fece un gran rumore in Vigevano e in Italia (complici, si veda la vicenda biografica, l'arresto di Lucio Mastronardi per fatti risalenti al 1961, e gli articoli mastronardiani pubblicati su L' Unità e Vie Nuove che davano conto dell'ambiente disinvolto e carognesco dell'industra vigevanese).
Fu qui che Vigevano diventò uno dei simboli della Provincia industriale italiana. Qui e con il film omonimo, girato a vigevano nel 1963, diretto da Elio Petri e interpretato da Alberto Sordi e Claire Bloom. Per Lucio Mastronardi, maestro elementare, fu causa di dissidi con i colleghi, di un trasferimento dall'insegnamento a Vigevano ad un impiego in una biblioteca di Abbiategrasso, e dell'atteggiamento astioso da parte della città verso il suo scrittore.
Il Mestro, scritto con miscela dialetto-italiano che è nuova e inventiva, che non è una semplice giustapposizione delle due, è, per tempi, ritmo, spessore, il capolavoro di Mastronardi e un testo che resiste al trascorrere degli anni e ancora brilla per la sua modernità.
RISVOLTO
Un'ondata di fondo sta percorrendo la letteratura di tutti paesi: decine di migliaia di persone, in ambienti fino a ieri lontani dai libri, non solo si sono impadronite degli strumenti dello scrivere, ma soprattutto hanno capito che la letteratura che conta comincia dove finiscono le convenzioni letterarie, dove la sincerità diventa crudele e la perdita delle inibizioni gioco rischioso.
Il paesaggio umano che questi nuovi scrittori ci aprono non è affatto consolante: è un urlo di sofferenza esistenziale che non si può classificare nettamente nè dalla parte dei documenti nè dalla parte delle opere poetiche ben padroneggiate e compiute.
Lucio Mastronardi pare testimoniare con questo romanzo una carica ben più di tutti gli «angry young man». Già il suo primo romanzo, il Calzolaio di Vigevano, tenuto a battesimo da Elio Vittorini nel «Menabò n.ro 1», rappresentava con una scrittura dialettale sgangherata ma serissima le alterne fortune dei fabbricanti di scarpe tra artigianto e industrializzazione.
Qui l'ambiente sociale si sposta di poco, siamo tra le categorie che il «miracolo economico» non tocca, come i maestri elementari, che continuano a sperare nelle promozioni di qualifica, nella pensione, negli scatti del «coefficente», in mezzo a un mondo sempre più avido di benessere e frettoloso.
Diversa è invece la sostanza della narrazione: una scrittura che adopera come vien viene la lingua parlata, le espressioni burocratico- scolastiche e il dialetto; e la tensione non è più quella di una grottesca commedia ma d'una tragedia clownesca, dove si vuole beffare ma anche aggredire, far violenza, toccare il fondo.
E' nella caricatura di questo mondo di catrame (così l'autore chiama il decoro piccolo-borghese) che Mastronardi ci dà le sue pagine migliori, come nella spassosa presa in giro del «metodo attivo» o del «cenacolo pedagogico».
Abbiamo rispettato il testo di Mastronardi nella sua integrità (solo smussando qualche punta) coi suoi motivi ossessivi e visionari e crudeli, anche là dove sentivamo che offendeva il nostro gusto (ed era proprio questo, crediamo, che l'autore si proponeva di fare), nè abbiamo tentato di corregere il suo dialetto approssimativo e non sempre comprensibile (si badi per esempio che dove dice sgonfio intende dire gonfio), perchè siamo sicuri che nell'insieme tutto si tiene, che il libro sotto le sue rozze spoglie ha una coerenza di struttura molto solida, e vi corre dentro un accento umano che è tutto fuorchè cinico e facilmente «rivoltato», ma di profonda sofferenza e di pietà.
Presentando il primo romanzo di Mastronardi, Il Calzolaio di Vigevano, nel «Menabò n.ro 1» (1959) Elio Vittorini scriveva: «Nato a Vigevano il 28 giugno 1930 Lucio Mastronardi è cresciuto in ambiente piccolo-borghese ma in un caseggiato abitato da operai e artigiani.
Sua madre è lombarda, vigevanese. Il padre invece è nato abruzzese, di vicino Vasto, ora ispettore scolastico in pensione, ma fin dal 1921 in pensione, per via del fascismo. Ha la casa piena di libri, questo padre, anche di opere rare, e guai a chi in famiglia glieli tocca. Però voleva che il figlio Lucio, quando l'ebbe, gli venisse istruito, e fu molto amareggiato di vedere ch'egli invece studiava male tanto da dover abbandonare il ginnasio e buttarsi alle magistrali. La madre è maestra, con quaranta e più anni di servizio, e ora, ma da poco, anche lei in pensione. Lucio Mastronardi ne continua la carriera. Insegna in una terza elementare».
Un giudizio di Eugenio Montale sul Calzolaio di Vigevano: «Le cento pagine del libro si leggono con qualche fatica poichè non a tutti - non certamente a noi - è facile seguire nei suoi significati il particolare lessico degli scarpari di Vigevano; ma questo non impedisce di ammirare la verve dello scrittore, la prudenza con cui egli volge in farsa e balletto quella ch'era forse l'ambizione di imbarcarsi in una complessa narrazione a sfondo sociale. A parte la carica e l'economia, in Mastronardi c'è senza dubbio la stoffa del narratore».
In sopracoperta: Moris Hirshfield, Ragazza davanti allo specchio.
Pubblicato in maggio, nella collana i Coralli dell'Einaudi. La vicenda, ambientata all'alba del boom economico che travolse l'Italia e Vigevano con essa, è quella del maestro elementare Mombelli, che cerca senza successo di resistere alle brame economiche della moglie che vorrebbe diventare calzolaia in proprio e poi, magari, piccla industriale.
Ritratto caustico, nero, grottesco della Vigevano degli industrialotti senza scrupoli e degli operai bramosi di carriera fu un successo editoriale (80.000 copie vendute) e fece un gran rumore in Vigevano e in Italia (complici, si veda la vicenda biografica, l'arresto di Lucio Mastronardi per fatti risalenti al 1961, e gli articoli mastronardiani pubblicati su L' Unità e Vie Nuove che davano conto dell'ambiente disinvolto e carognesco dell'industra vigevanese).
Fu qui che Vigevano diventò uno dei simboli della Provincia industriale italiana. Qui e con il film omonimo, girato a vigevano nel 1963, diretto da Elio Petri e interpretato da Alberto Sordi e Claire Bloom. Per Lucio Mastronardi, maestro elementare, fu causa di dissidi con i colleghi, di un trasferimento dall'insegnamento a Vigevano ad un impiego in una biblioteca di Abbiategrasso, e dell'atteggiamento astioso da parte della città verso il suo scrittore.
Il Mestro, scritto con miscela dialetto-italiano che è nuova e inventiva, che non è una semplice giustapposizione delle due, è, per tempi, ritmo, spessore, il capolavoro di Mastronardi e un testo che resiste al trascorrere degli anni e ancora brilla per la sua modernità.
RISVOLTO
Un'ondata di fondo sta percorrendo la letteratura di tutti paesi: decine di migliaia di persone, in ambienti fino a ieri lontani dai libri, non solo si sono impadronite degli strumenti dello scrivere, ma soprattutto hanno capito che la letteratura che conta comincia dove finiscono le convenzioni letterarie, dove la sincerità diventa crudele e la perdita delle inibizioni gioco rischioso.
Il paesaggio umano che questi nuovi scrittori ci aprono non è affatto consolante: è un urlo di sofferenza esistenziale che non si può classificare nettamente nè dalla parte dei documenti nè dalla parte delle opere poetiche ben padroneggiate e compiute.
Lucio Mastronardi pare testimoniare con questo romanzo una carica ben più di tutti gli «angry young man». Già il suo primo romanzo, il Calzolaio di Vigevano, tenuto a battesimo da Elio Vittorini nel «Menabò n.ro 1», rappresentava con una scrittura dialettale sgangherata ma serissima le alterne fortune dei fabbricanti di scarpe tra artigianto e industrializzazione.
Qui l'ambiente sociale si sposta di poco, siamo tra le categorie che il «miracolo economico» non tocca, come i maestri elementari, che continuano a sperare nelle promozioni di qualifica, nella pensione, negli scatti del «coefficente», in mezzo a un mondo sempre più avido di benessere e frettoloso.
Diversa è invece la sostanza della narrazione: una scrittura che adopera come vien viene la lingua parlata, le espressioni burocratico- scolastiche e il dialetto; e la tensione non è più quella di una grottesca commedia ma d'una tragedia clownesca, dove si vuole beffare ma anche aggredire, far violenza, toccare il fondo.
E' nella caricatura di questo mondo di catrame (così l'autore chiama il decoro piccolo-borghese) che Mastronardi ci dà le sue pagine migliori, come nella spassosa presa in giro del «metodo attivo» o del «cenacolo pedagogico».
Abbiamo rispettato il testo di Mastronardi nella sua integrità (solo smussando qualche punta) coi suoi motivi ossessivi e visionari e crudeli, anche là dove sentivamo che offendeva il nostro gusto (ed era proprio questo, crediamo, che l'autore si proponeva di fare), nè abbiamo tentato di corregere il suo dialetto approssimativo e non sempre comprensibile (si badi per esempio che dove dice sgonfio intende dire gonfio), perchè siamo sicuri che nell'insieme tutto si tiene, che il libro sotto le sue rozze spoglie ha una coerenza di struttura molto solida, e vi corre dentro un accento umano che è tutto fuorchè cinico e facilmente «rivoltato», ma di profonda sofferenza e di pietà.
Presentando il primo romanzo di Mastronardi, Il Calzolaio di Vigevano, nel «Menabò n.ro 1» (1959) Elio Vittorini scriveva: «Nato a Vigevano il 28 giugno 1930 Lucio Mastronardi è cresciuto in ambiente piccolo-borghese ma in un caseggiato abitato da operai e artigiani.
Sua madre è lombarda, vigevanese. Il padre invece è nato abruzzese, di vicino Vasto, ora ispettore scolastico in pensione, ma fin dal 1921 in pensione, per via del fascismo. Ha la casa piena di libri, questo padre, anche di opere rare, e guai a chi in famiglia glieli tocca. Però voleva che il figlio Lucio, quando l'ebbe, gli venisse istruito, e fu molto amareggiato di vedere ch'egli invece studiava male tanto da dover abbandonare il ginnasio e buttarsi alle magistrali. La madre è maestra, con quaranta e più anni di servizio, e ora, ma da poco, anche lei in pensione. Lucio Mastronardi ne continua la carriera. Insegna in una terza elementare».
Un giudizio di Eugenio Montale sul Calzolaio di Vigevano: «Le cento pagine del libro si leggono con qualche fatica poichè non a tutti - non certamente a noi - è facile seguire nei suoi significati il particolare lessico degli scarpari di Vigevano; ma questo non impedisce di ammirare la verve dello scrittore, la prudenza con cui egli volge in farsa e balletto quella ch'era forse l'ambizione di imbarcarsi in una complessa narrazione a sfondo sociale. A parte la carica e l'economia, in Mastronardi c'è senza dubbio la stoffa del narratore».
In sopracoperta: Moris Hirshfield, Ragazza davanti allo specchio.